TRE
CRITICITA'
POSSONO
DIVENTARE UNA RISORSA?
1'
CRITICITA'
Gli
alvei e le sponde dei nostri corsi d'acqua sono ricoperti da una
fitta vegetazione di canne che in caso di abbondanti piogge, vengono
strappate dal suolo, intasano i torrenti, fanno straripare le acque
che arrecano ingenti danni all'ambiente e all'agricoltura e sono
causa si serio pericolo per la gente.
Il
compito di provvedere ad una periodica manutenzione di questi luoghi
è affidato al Genio Civile ma la mancanza delle ingenti risorse
economiche necessarie impedisce a questo ente di provvedere.
Di
conseguenza ad ogni forte evento di pioggia si può avere lo straripamento
dei corsi d'acqua e i conseguenti danni e pericoli suddetti.
Le
canne possono costituire una risorsa. Una stima orientativa della
quantità di canne negli alvei e sulle sponde dei torrenti è
valutabile in circa 200.000 tonnellate annue.
2'
CRITICITA'
Il territorio della Provincia
di Trapani è coltivato in modo preminente a vite e quindi in seguito
alla vendemmia si ha una si ha una grandissima quantità di raspi,
buccia e vinaccia.
Da una ricerca su internet di
può desumere che la superficie vitata in provincia di Trapani è di
circa 52.000 ettari, la quantità di uva prodotta è di circa 676.000
tonnellate e la quantità di scarti (raspi, buccia e vinaccia) di
circa 240.000 tonnellate. Questi prodotti potrebbero essere avviati alla distillazione. In tempi recenti, però,
questo processo è reso molto difficile.
La vinaccia non può essere
sparsa nei campi in quanto la sua azione sul terreno e molto negativa
e quindi costituisce un problema per gli operatori agricoli.
Le 240.000 tonnellate di
scarti derivanti dalla vendemmia possono costituire una risorsa
economica.
Oltre agli scarti della
vendemmia si possono stimare in circa 150.000 tonnellate gli scarti
della potatura dei vigneti e in circa 80.000 tonnellate la paglia ed altri cereali.
3'
CRITICITA'
La
crisi della viticoltura, dopo il boom dei decenni precedenti, ha
portato alla chiusura di numerose cantine sociali la cui struttura e
attrezzatura è diventata improduttiva e quindi un grave onere
economico. Una sua riconversione sarebbe estremamente auspicabile e
trasformerebbe queste strutture improduttive in nuove strutture
capaci di produrre reddito, posti di lavoro e ricchezza sul
territorio.
Di
seguito riporto un articolo su LA REPUBBLICA del 20/12/2010, a cura
del Giornalista Paolo Virtuani, che riporto per intero perché dà un
quadro ampio ed esauriente circa la necessità e convenienza a
produrre bioetanolo dai vegetali.
IN
PIEMONTE UN CENTRO AVANZATO
PER
I COMBUSTIBILI DI SECONDA GENERAZIONE
Dalla canna al serbatoio: le nuove frontiere del biocarburante
È migliore della canna da zucchero brasiliana. Recupero di terreni marginali non utilizzati dall'agricoltura
La
semplice canna comune, Arundo donax è il suo nome botanico, quella
che cresce lungo i fossi o i margini delle strade, rappresenta il
futuro dei biocarburanti, in particolare dell'etanolo che può essere
addizionato alla benzina. In Brasile l’etanolo ricavato dalla canna
da zucchero ormai è una realtà da oltre 30 anni, ma come fare per
tradurre anche nei nostri climi questa possibilità che ci viene
offerta dalla natura se la canna da zucchero in Italia non cresce?
Impresa non facile, che ha richiesto 120 milioni di euro di
investimenti e cinque anni di ricerche per arrivare a trovare la
pianta più adatta e mettere a punto il processo di lavorazione
ottimale.
M&G
- I soldi sono stati investiti dal gruppo M&G
(Mossi e Ghisolfi),
multinazionale con sede in Italia, leader mondiale nella produzione
del Pet (la plastica delle bottiglie), 3 mila dipendenti e 3 miliardi
di dollari di giro d’affari. Nel 2004 con l’acquisizione della
Chemtex
il
gruppo italiano ha dato una svolta alla propria strategia, entrando
nella chimica «verde» dei biocarburanti. E a Rivalta Scrivia, in
provincia di Alessandria, utilizzando anche le possibilità offerte
dal Parco scientifico tecnologico e dall’onlus EnergEtica,
il distretto agro energetico del Nord Ovest,
è sorto il laboratorio dove è nato il bioetanolo avanzato di
seconda generazione, quello appunto derivato dalla canna comune.
CINQUE
CARATTERISTICHE - «Era necessario trovare una pianta che unisse
cinque caratteristiche», spiega l’ingegnere Giuseppe
Fano, direttore M&G del centro di ricerca di Rivalta Scrivia.
«Non fosse alimentare - per uomini o animali - per motivi etici;
avesse scarso bisogno di acqua e di concimi; fosse disponibile tutto
l’anno; crescesse su terreni marginali poveri e non utilizzati
dalle coltivazioni intensive; e fosse autoctona, ampiamente diffusa,
disponibile e con un’alta resa. Dopo cinque anni di ricerche e
sperimentazioni, l’abbiamo trovata», prosegue Fano. «È
la canna comune, che ha tutte le caratteristiche necessarie e inoltre
fornisce 40 tonnellate per ettaro di sostanza secca equivalente e,
una volta lavorata, consente di ottenere 10 tonnellate per ettaro di
bioetanolo, addirittura di più di quanto si ricava dalla canna da
zucchero in Brasile».
MOTIVI
– L'impegno è trovare prodotti alternativi al petrolio e diminuire
la dipendenza dalle importazioni dall’estero che ogni anno costano
al Paese miliardi di euro e, tramite i biocarburanti (che hanno un
bilancio tra CO2 sequestrata ed emessa quasi zero) diminuire le
emissioni di gas serra. Ma qual è la sostenibilità economica del
progetto? In parole povere: quanto costa un litro di bioetanolo? «Il
bioetanolo è competitivo se il prezzo del petrolio non scende sotto
i 60-70 dollari al barile». E in questi giorni le quotazioni sono
intorno a 88 dollari, mentre un paio d’anni fa sono giunte anche a
140 dollari a barile.
STATI
UNITI APRIPISTA - Lo scorso ottobre l’Ente di protezione ambientale
statunitense (Epa) ha autorizzato nelle automobili costruite dopo il
2007 l’impiego dell’E15, carburante composto per il 15% da
bioetanolo e per l’85% da benzina. Per i veicoli costruiti tra il
2001 e il 2006, è prevista un’altra autorizzazione entro il 2011.
Sempre gli Usa hanno stabilito che nel 2022 il 58% dei 136 miliardi
di litri di biocarburanti che verranno prodotti nel Paese non
potranno derivare da coltivazioni alimentari come il mais. Due gli
obiettivi: diminuire la dipendenza dalle importazioni dall’estero
ed evitare, come avvenuto negli anni 2006-2008, l’aumento eccessivo
dei prezzi di prodotti essenziali all’alimentazione umana e
animale, come grano, mais e soia. Attualmente negli Usa vengono
prodotti 41,6 miliardi di litri di biocarburanti.
CONVENIENZA
– «Per essere conveniente, l’etanolo prodotto dalla canna deve
però soddisfare altre condizioni: per esempio la cosiddetta filiera
corta», spiega ancora l’ingegner Fano. «Stiamo realizzando un
impianto pilota a Crescentino, in provincia di Vercelli, da 40 mila
tonnellate di bioetanolo che entrerà in funzione nel 2012. Per
alimentarlo sono necessarie canne raccolte un’area di 4 mila
ettari, che però non devono provenire da una distanza superiore a
30-35 chilometri. Altrimenti le spese di trasporto e il consumo di
carburanti diventano eccessivi e il gioco non vale più la candela».
Secondo Fano, inoltre, l’impianto ideale dovrebbe avere una taglia
di 150-200 tonnellate di bioetanolo, quindi occorrono 15-20 mila
ettari coltivati a canna – che si raccoglie tutto l’anno - a una
distanza non superiore di 70 km dall’impianto.
ESSENZIALE
– Per arrivare a centrare il traguardo che l’Unione europea (e
l’Italia) si è data con l’obiettivo 20-20-20, cioè entro il
2020 diminuire del 20% le emissioni di CO2, aumentare del 20%
l’efficienza energetica e produrre il 20% dell’energia da fonti
rinnovabili, nel nostro Paese sarà necessario produrre 1,5 milioni
di tonnellate di bioetanolo. Quindi, come conferma Fano, bisognerà
«coltivare» 150 mila ettari ad Arundo donaxe costruire 8-10
impianti per la produzione.
CICLO
PRODUTTIVO – Da quando le canne entrano nell’impianto a quando
viene prodotto il bioetanolo passano cinque giorni, anche se recenti
studi americani basati sul batterio Zymomonas mobilis nella
fermentazione dello xilosio, indicano che il ciclo può essere
abbassato a un giorno e mezzo. Il
trattamento è semplice e senza additivi chimici, che consumano
energia. Dopo lo sminuzzamento, la massa vegetale viene «cotta» e
fatta fermentare, più o meno come la birra. Se ne ricava un liquido
con un certo contenuto di etanolo che, attraverso altri passaggi
arriva a un contenuto di alcol etilico fino al 99%. Come
sottoprodotto rimane la lignina, che ha un potere calorifico
superiore al legno e viene bruciata per alimentare il processo
industriale. Ciò che resta sono acque reflue contenenti carbonio
dalle quali si può ricavare ancora metano e biogas e chiudere il
ciclo industriale «bio» fino in fondo.
Paolo
Virtuani
20
dicembre 2010 (ultima
modifica: 24 dicembre 2010)
Sul
territorio della provincia, come si è visto precedentemente, si può
disporre di:
200
mila tonnellate di canne;
240
mila tonnellate di scarti della vendemmia;
80
mila tonnellate di paglia;
150
mila tonnellate di scarti dalla potatura dei vigneti.
In
totale 670 mila tonnellate di prodotto che potrebbe essere
trasformato in bio carburante e che, invece, va praticamente perduto.
Se
dovesse occorrere altro materiale e se fosse economicamente
conveniente, si potrebbe coltivare la canna su terreni poveri e
quindi inadatti ad un' agricoltura competitiva.
Allo
scopo di verificare se è possibile installare un impianto per la
produzione di bioetanolo nel nostro territorio, ho preso contatto con
il responsabile di EnergEtica,
il distretto agro energetico del Nord Ovest
citato nel suddetto articolo.
Ho
parlato con il direttore, una persona molto gentile disponibile e
concreta a cui ho sottoposto la mia idea.
Si
è dichiarato disponibile a dare tutti i suggerimenti opportuni, a
collaborare alla ralizzazione concreta del progetto ed aspetta che
gli fornisca i dati di cui sopra per verificare la fattibilità
dell'impianto.
Per
quanto riguarda la costruzione del suddetto impianto, si potrebbero
utilizzare gli stabili e le attrezzature delle cantine esistenti sul
territorio, adeguando il tutto al loro nuovo e diverso utilizzo.
Resta
il problema del reperimento delle risorse economiche:
A
questo si puo porre rimedio costituendo una società per azioni a
capitale diffuso fra tutti coloro che vorranno partecipare. Forse
può darsi che è venuto il momento che i Sicilani investano i loro
risparmi in progetti per lo sviluppo del nostro territorio invece di
investire il loro gruzzolo in azioni che nulla hanno a che spartire
con noi.
Se
poi questo progetto, oltre ad essere redditizio, può anche usufruire
di incentivi pubblici nazionali ed europei, allora diventerà ancora
più appetibile investirvi i propri risparmi.
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