“… E’ gelida l’acqua, mi entra nelle ossa, non riesco a
liberare la stazza dall’acqua. Salto da un punto all’altro ma
ogni tentativo è vano. Uso tutta la mia forza e la mia agilità ma
la lancia resta piena. E cado.
All’improvviso
e senza nemmeno rendermene conto. Ho paura. E’ notte fonda e fa
freddo. L’incoscienza dei miei sedici anni mi ha portato a non
calcolare il rischio. Non potevo e non dovevo cadere in mare. Mi
sembra di morire.
Nella
barca grande dormono e chi sta al timone sembra non essersi nemmeno
accorto che sulla lancia attaccata dietro non c’è più nessuno. Ho
paura. Siamo a 40 miglia da Lampedusa e se non riesco a farmi sentire
subito, mi lasceranno qui e sarà la fine. Si renderanno conto di
avermi perso quando saranno arrivati in porto. Non voglio morire qui.
Sono terrorizzato.
Il
panico sta per impadronirsi di me e comincio ad urlare con quanto
fiato ho in gola cercando di rimanere a galla e di non farmi
trascinare giù da questo mare che ci consente di sopravvivere, ma
che può anche decidere di abbandonarci per sempre, di diventare un
mostro crudele che non ha nessuna pietà. “Patri” urlo con
angoscia che mi cresce dentro. “Patri” urlo ancora. Lui è al
timone e non mi sente. La fine si avvicina, penso, ma continuo ad
urlare. Poi qualcosa accade. Lui si volta e si accorge di me, dalle
mie braccia alzate, dalla mia voce rotta dal pianto. E torna indietro
a prendermi.
Urla
ai marinai di svegliarsi. A bordo del KENNEDY cresce l’agitazione.
Il mare è mosso e non è facile tirarmi su ma alla fine ci riescono.
Sono salvo. Ho freddo. Sto male. Comincio a vomitare acqua salata.
Piango come un bambino disperato. Mio padre mi stringe forte, mi
riscalda come può. Torniamo a casa con la barca vuota per una
battuta di pesce andata a male ma con una vita salvata. La mia.
Per
giorni nella nostra umile casa di pescatori smetto di parlare. Io che
zitto non sono mai stato. Io che fermo non sono mai stato, adesso non
riesco a muovermi. E dalla mia bocca non esce nemmeno un suono. Per
la prima volta nella mia vita ho capito cosa significa guardare la
morte in faccia. Ciò che invece non potevo sapere è che non solo
quella notte sarebbe rimasta per sempre impressa nella ma mente ma
che la mia esistenza sarebbe per sempre rimasta segnata da un mare
che restituisce corpi e vite e che sarebbe toccato proprio a me
salvare quelle vite e toccare per ultimo quei corpi. Che ogni volta
che in banchina avrei visitato un uomo, una donna, un bambino
fradicio di acqua gelida e con gli occhi pieni di paura, avrei
ripensato a quegli istanti.
Ogni
tanto l’incubo di quella notte torna a farsi vivo ma, da oltre 25
anni, a quell’incubo, a quel terribile ricorso, se ne aggiungono
altri, ancora più devastanti e purtroppo, temo altri se ne
aggiungeranno.”
Domenico
Bartolo