L’Amministrazione
alcamese guidata dal Sindaco, Sebastiano Bonventre, ha deliberato di
intitolare una strada allo scultore alcamese, Giuseppe Bambina
(1905-1994), per commemorare il ventennale della sua scomparsa e
ricordare l’uomo, l’artista e le opere.
http://www.trapaniok.it/7854/Cultura-trapani/alcamo-comune---l-amministrazione-bonventre-ricorda-lo-scultore-alcamese-giuseppe-bambina#.VIieqDGG-LU
Commemorare i figli
della nostra terra che si sono distinti nelle loro attività è
certamente lodevole.
Dimenticare i nostri
fratelli Alcamesi, martiri della follia della guerra è gravissimo.
Chi, fra i nostri
concittadini sotto i 60 anni, sa qualcosa dei poveri morti ammazzati
di Alcamo Diramazione, circa 70 anni addietro, vittime incolpevoli
della follia criminale e dei postumi di una stupida guerra?
Leggete la storia dei
Martiri di Alcamo Diramazione, tratta da un pregevole libro dal titolo FRA'
DIAVOLO, di NELLO MORSELLINO e scoprirete fatti che forse
non conoscete e che invece meritano di essere conosciuti e ricordati da tutti.
CAPITOLO
PRIMO
LA
STRAGE
DI
ALCAMO DIRAMAZIONE
Ogni
anno, in Francia, il 14 luglio si celebra la più grande ricorrenza
storica nazionale, un giorno indimenticabile quando — proprio il 14
luglio 1789, — il popolo francese in rivolta, prese la Bastiglia,
il tristemente noto carcere parigino, liberando tutti i prigionieri
politici che la tirannia del potere reale di Luigi XVI aveva tentato
di liquidare con tante impiccagioni.
Da
quel fatidico 14 luglio 1789 finì la tirannide ed il terrore ed al
grido di "libertè, egalitè, fraternitè" iniziò la
democrazia francese.
Ad
Alcamo invece, il 14 luglio di ogni anno dovrebbe essere giorno di
lutto cittadino perché quell'infausto giorno di 62 anni fa, la forza
pubblica, ispirata dalla faziosità fascista, sparò — nei pressi
della stazione di Alcamo Diramazione — contro una decina di inermi
cittadini inizialmente intenti ai lavori agricoli o a diverse
incombenze artigianali.
Ma
raccontiamo i fatti:
È
il 14 luglio del 1943, un mercoledì, ed ancora in Sicilia era
presente il regime fascista, un regime ormai giunto alla sua fine,
ingloriosa e sanguinaria, ma ancora per pochi giorni abbarbicato con
i suoi rappresentanti, ad un potere che gli stava scivolando tra le
dita, dato che qualche giorno prima, esattamente il 10 luglio del
1943, gli alleati anglo-americani erano già sbarcati a Gela e Licata
stabilendo una salda testa di ponte, il primo grande passo per la
liberazione dell'Italia dai tedeschi e dai fascisti.
E
mentre gli Alleati erano impegnati dalle parti di Gela per rinforzare
la loro testa di ponte dell'esercito, quel 14 luglio del 1943 alcuni
aerei alleati — nell'intento di bloccare il rifornimento alle
rimanenti truppe italiane che (molto poche!) ancora combattevano —
mitragliarono e bombardarono la Stazione ferroviaria di Alcamo
Diramazione che era un nodo di primaria importanza per tutta la
Sicilia Occidentale.
Nell'intenso
bombardamento, gli aerei americani danneggiarono diverse tratte di
binari centrando anche diversi carri-merce chiusi facendone saltare
le fiancate e sparpagliando il loro contenuto per terra.
In
quel triste periodo, la fame era tanta e tanto arretrata, non c'era
quasi nulla da mangiare e non si poteva nemmeno macinare il grano per
fare il pane, perché il regime fascista aveva vietato ai mulini, di
macinare il frumento che i contadini avrebbero dovuto invece portare
"all'ammasso" e quindi sembrò compiersi un "miracolo"
quando diversi contadini ed operai della zona — uscendo dagli
improvvisati rifugi di fortuna dove si erano rintanati per sfuggire
ai bombardamenti — videro sparso per terra, e caduto dai carri, un
profluvio di roba da mangiare: decine e decine di sacchi sventrati
contenenti generi alimentari tra cui riso, zucchero e carne secca,
oltre a tanto scatolame vario e formaggini.
Cos'altro
c'era da fare se non raccogliere quanta più roba possibile per
cercare di sfamarsi, un ben di Dio sparpagliato per terra e destinato
a rovinarsi o a perdersi?
E
così una quindicina di contadini ed addetti ai mulini (presenti nei
pressi della Stazione perché vi scorre un fiume che alimentava le
macine) si precipitarono a riempire tutti i contenitori che poterono
trovare, per portare a casa qualcosa da mettere sotto i denti.
Ma
della stessa idea non furono le Forze dell'Ordine, di Alcamo,
comandate dal tenente-colonnello Rolando Cultrera (che si dice sia
stato ucciso a Messina, poco tempo dopo, in circostanze misteriose)
le quali, avvertite forse da persone compiacenti, si precipitarono
alla Stazione, radunarono quei poveri disgraziati ancora intenti a
raccogliere quegli alimenti, e che la fame aveva spinto a fare un
rifornimento insperato, li spinsero contro un muro poco distante e
senza pensarci due volte li passarono per la armi, fucilandoli.
Abbiamo,
più sopra, fatto il nome del tenente colonnello Rolando Cultrera
solo perché esso è citato in diversi libri, prima fra tutti "Storia
di Alcamo" di mons. Vincenzo Regina e poi ripreso in altri
testi. Ma tutta la faccenda non ci ha mai persuaso, anche perché non
si è mai saputo da dove sia spuntato il nome di Cultrera. Ed è per
questo che abbiamo voluto effettuare
tramite fonti ufficiali, più accurate ricerche che hanno dato i
risultati specificati piü avanti, e che sono completamente diversi
da quelli riferiti da altri autori.
A
quel tempo si disse che erano stati i carabinieri ed in effetti —
per rispetto alla verità storica — non possiamo non citare il nome
di Palmeri Giuseppe di anni 50 che dal registro dei seppelliti del
Cimitero di Alcamo, risulta essere stato "ucciso dai R.R.
Carabinieri". La circostanza dell'intervento dei Carabinieri
Regi, lo ricorda ancora perfettamente un nostro amico, Francesco
Messina, alcamese, oggi settantaduenne, Direttore Didattico in
pensione, che abitava — essendo estate — in Contrada "Virgini"in
una casa quasi adiacente la Statale 113 e che (aiutato dalla "memoria
remota" che fa ricordare molto bene alla persona di una certa
eta, vividi episodi di gioventù), cosi ci raccontò i suoi vividi
ricordi di allora: "... sarà stato sicuramente nel primo
pomeriggio (stiamo parlando sempre, del 14 luglio 1943), quando, io e
mio zio, abbiamo visto scendere dallo stradale (cioè dalla Statale
113), alcune auto di colore nero, forse tipo "Millecento",
piene di carabinieri.
Nella
prima di queste, c'erano — lateralmente — con i piedi poggiati
sulle predelline esterne, e con le mani aggrappate al portabagagli,
due carabinieri col fucile a spalla.
Ricordo
l'espressione di meraviglia da parte di mio zio che disse: "e
dove vanno tutti questi carabinieri?"
Dopo
alcune ore, net tardo pomeriggio, abbiamo visto salire, sempre dallo
stradale, un camion con le spalliere abbassate, carico di morti e
feriti buttati alla rinfusa sul cassone che lungo il suo percorso
lasciava una larga traccia di gocciolio intenso di sangue che
colorava di rosso il fondo stradale.”
Verosimilmente, era lo
stesso camion che scaricò poi i corpi dei fucilati presso l'Ospedale
di Alcamo.
Ma il prof. Messina continua
il suo racconto, dicendo: "... Tra i morti c'era un giovane
di appena 18 anni, Francesco Ferrara. Sua madre viveva facendo la
"pantalonaia" per mantenere la famiglia e spesso veniva a
trovarci perché amica di mia madre.
Ricordo
ancora quella donna, vestita di nero, che piangendo diceva quanto era
bravo il suo figliolo. Egli si era recato ad Alcamo Diramazione su
invito di un soldato di loro conoscenza per ricevere in regalo un
paio di scarponi. Ed il paio di scarponi l'aveva già avuto, perché
quando é stato fermato dai carabinieri, - diceva Ia madre — teneva
le scarpe in una mano e nell'altra un fazzoletto legato a punta,
pieno di riso.
Lo
aveva preso dove c'erano i vagoni sventrati e dove tante persone
affamate prendevano quel che potevano. Diceva — sempre la madre —
e l'aveva appreso da qualche testimone oculare dell'inumano episodio,
che un carabiniere aveva invitato ii ragazzo ad allontanarsi dal
gruppo dei fermati, e Francesco (sempre tenendo nelle mani la sua
refurtiva", incredulo di quanto stava succedendo, si staccava
dagli altri e si immetteva su una stradella laterale. In quel momento
però, il Capitano intimò al giovane Francesco di fermarsi e di
ritornare con tutti gli altri.
E
fu cosi che anche Francesco, di appena 18 anni compiuti da poco,
cadde ucciso dal plotone di esecuzione.
Poi,
qualche mese dopo venne a "Virgini" Felice Palmeri (di cui
parleremo tra poco) perché conosceva i miei parenti. Era un
ragazzone di circa 20 anni, abbastanza robusto, e parlò della sua
fuga dal luogo della fucilazione quando capì — anche su
sollecitazione del padre — le funeste intenzioni di quel Capitano
dei CC. Egli si mise a correre tra i vagoni, quando una pallottola di
rimbalzo lo colpi alla testa e gli rimase nel cranio senza che
nessuno mai riuscisse a toglierla.
Dopo
la fucilazione, quei viveri restarono abbandonati a Diramazione anche
perché si susseguirono altri bombardamenti (16 e 20 luglio) e fino
all'entrata degli Americani ed anche dopo, chiunque passava dalla
Stazione poteva prelevare qualche "ricordino" alimentare da
portare a casa.
E
allora, a che cosa doveva servire quel gesto del capitano o tenente
colonnello, che sia, che di eroico o di patriottico aveva proprio
nulla?".
Fin
qui l'avvincente racconto di un testimone oculare a cui dobbiamo
aggiungere, per la completa veridicità dei fatti, le ricerche
effettuate presso l'Archivio Storico del Comando Generale dei CC,
secondo il quale il nome più probabile del Comandante la Compagnia
CC. di Alcamo, in quel periodo, è stato il Capitano Salvatore
Miraglia, che resse le sorti della Compagnia CC. di Alcamo fino al 13
gennaio del 1945, anche se si ignora la data dell'inizio del suo
mandato ad Alcamo.
D'altro
canto, sempre secondo l'Archivio Storico dell'Arma, il diretto
predecessore del cap. Miraglia è stato il cap. Angelo Antico che
venne ad Alcamo 26 luglio 1938, ma non si sa quando andò via. Ma in
questo frattempo, c'è stata una lunga guerra mondiale e forse il
cap. Antico non ha gestito per un periodo così lungo e complicato,
la Compagnia CC. di Alcamo, pertanto, il nome più probabile è
quello del cap. Salvatore Miraglia che diede quindi, verosimilmente,
l'ordine di fucilare quelle inermi persone ad Alcamo Diramazione,
colpevoli soltanto, di avere avuto fame.
Ma
ci può essere una ipotesi altrettanto probabile e per non lasciare
nessuna ombra circa l'identità del responsabile della fucilazione,
dobbiamo riferire anche quanto ci è stato raccontato da più parti,
da persone che erano presenti — anche se molto giovani — a quel
tempo: il capitano dei CC responsabile della strage di Alcamo
Diramazione fu allontanato, subito dopo, dal Comando della caserma
alcamese, per cui rimarrebbe in piedi indefinita, l'ipotesi che ci
sia stato il cap. Angelo Antico — comandante della Caserma dei CC
di Alcamo dal 1938 e sopravvissuto quindi agli eventi bellici — in
servizio ancora il 14 luglio del 1943, e quindi allontanato subito
dopo la strage, per evitare possibili violente ritorsioni da parte
dei familiari dei fucilati senza colpe, e quindi l'incolpevole
capitano Salvatore Miraglia — che resse il Comando di Alcamo fino
al 1945 — risulterebbe estraneo al funesto episodio di cui abbiamo
parlato, mentre la figura del capitano Antico prende connotazioni
sempre più reali come protagonista della strage. E tutto questo,
purtroppo, per la impossibilità anche del Comando Generale dell'Arma
di stabilire date certe e che — tramite il suo Archivio Storico —
non ha potuto determinare la fine del mandato del capitano Antico e
l'inizio di quello del capitano Miraglia.
La
triste e luttuosa vicenda di Giuseppe Palmeri ci è stata raccontata
— con altri particolari inediti — da un suo nipote, figlio della
sorella del Palmeri, il quale ci ha riferito che: "lo zio si
trovava ad Alcamo Diramazione assieme a due dei suoi cinque figli, il
giovane Francesco e Felice, appunto, e che — come tutti gli altri
presenti — raccoglievano le cibarie cadute per terra dai carri. Al
sopraggiungere dei militari che avevano già circondato il gruppetto
dei raccoglitori, il Palmeri capì quasi subito che la situazione
stava volgendo al tragico per le evidenti intenzioni del Comandante
che diede quasi subito l'ordine di sparare. Lo stesso Palmeri ebbe
appena it tempo di gridare ai suoi due figli di scappare e mentre
egli rimaneva per terra ucciso dalle pallottole, il figlio Francesco
scappò assieme al fratello Felice il quale però — essendo meno
agile perché di stazza più pesante - rimase un po' indietro e fu
raggiunto da una pallottola di rimbalzo che gli penetrò net cranio
lasciandolo svenuto per terra, grondante sangue. II Felice, ritenuto
morto, fu raccolto dai militari e gettato assieme agli altri cadaveri
su quel camion dal quale fuggì dopo essere rinvenuto e dopo essere
stato scaricato nell'atrio dell'Ospedale, raggiungendo la sua
abitazione che era ubicata poco distante dall'Ospedale, verso la fine
del Corso 6 Aprile".
Per
una strana sorte del destino, i cinque figli di Giuseppe Palmeri sono
oggi tutti deceduti, per malattie o per incidenti, e l'unico a
sopravvivere, fino a poco tempo fa, e stato proprio Felice che (come
ci aveva raccontato il prof. Messina) aveva ancora la pallottola nel
cranio e che viveva a Trapani, da pensionato e che ci ha raccontato
in un incontro informale, la sua vicenda. Una esperienza
indimenticabile — quella vissuta da Felice — e della quale non
parlava volentieri, per i ricordi tristissimi che essa gli evocava.
Ma
chi erano quella decina di poveri disgraziati alcamesi, oltre a due
castellammaresi, morti o feriti gravemente? Quali ordini furono dati
(e ai quali i militari non potevano sottrarsi per disciplina) ed
infine chi fu a dar questi ordini fratricidi?
Chi
fu a dare l'ordine, lo abbiamo appurato in modo quasi certo. ma la
storia locale non ha ancora reso noti tutti i nomi dei morti perché
a quel tempo a nessuna autorità conveniva far conoscere tale crudele
episodio ma (e lo si sa per certo), morti e feriti furono caricati
sul camion di cui dicevamo prima, e "scaricati" presso
l'Ospedale di Alcamo (dove li vide attraverso il portone aperto
dell'Ospedale, un nostro vecchio conoscente, allora ventenne, V.L.,
che ci raccontò di essere andato all'Ospedale perché aveva sentito
dire che tra i morti c'era anche un suo amico) e dove otto o dieci di
essi giunsero cadaveri, mentre altri due si salvarono — anche se
feriti più o meno gravemente — fingendosi morti.
Secondo
mons. Vincenzo Regina — autore del libro "Storia di Alcamo"
i morti fucilati ad Alcamo Diramazione furono undici (tanti quanto
quelli della strage di Portella delle Ginestre), ma l'autore
purtroppo non ha specificato i nomi, o forse, non ha potuto farlo.
La
maggior parte di essi però, siamo riusciti a rintracciarli andando a
consultare l'Ufficio Anagrafe del Comune di Alcamo che ha svelato che
il 16 luglio 1943 sono stati iscritti nel Registro dei Morti i
seguenti nominativi, persone che sicuramente morirono ad Alcamo
Diramazione poco dopo per i fatti di cui stiamo descrivendo le
vicissitudini, e poi portati all'Ospedale Militare di Alcamo:
Palmeri
Giuseppe di anni 50 contadino (da Cast. del Golfo ma
residente in Alcamo)
Macaluso
Salvatore " 34 molinaio (da Capaci)
Macaluso
Giuseppe " 41 (da Isola delle Femmine)
Ferrara
Francesco " 18 (da Alcamo)
Colombo
Mariano " 30 contadino (da Cast. del Golfo)
La
Commare Salvatore " 40 guardiano acquedotto (da San Marco,
oggi Valderice)
Marchese
Salvatore " 34 contadino (da Pollina — PA)
Questi
nominativi sono stati desunti — come dicevamo - dal Registro dei
Morti, anno 1943 del Comune di Alcamo (ma quasi certamente non furono
i soli, perché si parlò di oltre dieci morti) e per tutti si indica
come luogo di morte la Stazione Ferroviaria di Alcamo Diramazione e
successivamente portati, (e la maggior parte di loro già cadavere),
presso l'Ospedale Militare di Alcamo.
Presso
lo stesso Ospedale, inoltre, e per un altro mitragliamento di aerei
americani alla Divisione dell'Esercito Italiano avvenuto quasi
contemporaneamente, (esattamente due giorni dopo), nei pressi della
contrada Sant'Anna di Alcamo, morirono invece:
Domingo
Rocco anni 20 - soldato artigliere
Mineo
Vincenzo anni 44 - tenente n. Enna
Benenati
Vincenzo anni 21 - soldato n. Alcamo
Carandante
G. Carlo anni 36 - soldato n. Marano (AQ)
Mazzarella
Nicola anni 19 - sold, cam. nera n.Villa Literno
Favilli
Francesco anni 20 - caporalmagg. n. Arezzo
Antognazzi
Aurelio anni 23 - artigliere n.Monzabano(mN)
D'Antonio
Vincenzo anni 26 - soldato n. Petrosino
Sola
Filippo anni 24 - Carabiniere n. Garda
Manforte
Salvatore anni 31 - autiere n. Covegnago B. (MI)
Frigerio
Dante anni 21 - artigliere
Veneri
Elvio anni 23 - caporalmaggiore n. Mantova
Termini
Alberto anni 28 - artigliere n. Sciacca
Un'altro
alcamese, comunque, che fu fucilato anch'egli ad Alcamo Diramazione,
della cui identità siamo certi, e che era intento, come gli altri, a
raccogliere cibarie cadute per terra dai carri bombardati, e Giuseppe
Canzoneri, nonno dell'omonimo sindacalista che ricopri l'incarico di
Assessore ai LL.PP. del Comune di Alcamo, e che ricorda, come se
fosse oggi, secondo il racconto dei familiari, che a stento il nonno
arrivò fino a casa, ferito e pieno di sangue, fuggito dall'Ospedale
di Alcamo, dove medici ed infermieri, dopo aver fatto una prima,
frettolosa, cernita tra i morti i ed i feriti, avevano medicato il
Canzoneri che scappò poi a casa — sotto choc — temendo un'altra
rappresaglia.
Egli
fu curato soltanto dagli stessi familiari che non volevano che la
presenza del loro congiunto ferito arrivasse all'orecchio della Legge
per le possibili conseguenze negative o addirittura per evitare che
qualcuno togliesse di mezzo il loro congiunto diventato un testimone
oculare scomodo.
Però,
man mano che la nostra ricerca andava avanti, abbiamo cominciato a
trovare testimoni oculari ben disposti a raccontarci quei fatti del
14 luglio 1943, rimasti impressi indelebilmente nei loro ricordi,
come — per esempio - e il caso dell'anziano ma arzillo signor F. C.
settantanovenne alcamese, che si trovava spesso ad Alcamo Diramazione
perche un suo parente gestiva il Posto di Ristoro presso la Stazione
e lui, diciassettenne, lo aiutava spesso.
Quel
giorno — ricorda il signor F. — “dopo il bombardamento siamo
usciti tutti, indenni, dagli improvvisati rifugi e quello che ho
subito visto erano diversi carri merci che bruciavano mentre altri —
sventrati — mostravano tutto il loro contenuto sparso per terra.
C'era un carro, per esempio, pieno di biciclette marca Bianchi, con
le gomme piene (verosimilmente destinate ai soldati di ronda) e ce
n'era un altro, invece, pieno di armi — principalmente moschetti —
e munizioni, che stavano esplodendo come tanti fuochi pirotecnici, ma
i carri che ci interessavano erano quelli pieni di generi alimentari,
presso i quali si dirigevano le altre persone che, nel frattempo, si
avvicinavano".
L'attenzione
del giovane F. (lui lo ricorda come fosse ieri) si concentrò però
su un carro pieno di formaggini, una buonissima leccornia, specie per
quel tempo, ed egli se ne fece una bella scorta assieme ad altre
scatolette di carne ed un sacco di riso.
Carico
di tutto quel ben di Dio, il giovane F. ritornò a casa nascondendo
il prezioso bottino e non facendosi vedere più da quelle parti,
sfuggendo così — inconsapevolmente — alla morte per fucilazione.
Nei giorni seguenti però, sentì dai familiari la descrizione della
fucilazione di quei concittadini sorpresi vicino ai carri e quindi,
spaventato che qualcuno gli trovasse in casa il prezioso bottino
precedentemente raccolto, andò a nasconderlo in un anfratto di
terreno lì vicino recandovisi ogni tanto, a fare rifornimento.
E
solo adesso, mentre scriviamo queste note, colleghiamo questo
episodio a quanto raccontava nostro suocero, Isidoro Vasile di
Calatafimi, padre di sette figlie femmine: spinto dalla necessità di
dar da mangiare alla numerosa prole, quel signore, che era un agiato
possidente agricolo, per uno strano scherzo del destino proprio quel
fatidico giorno 14 luglio 1943 decise di caricare la propria giumenta
con il grano raccolto qualche mese prima, per cercare di macinarlo
nei molini della zona di Alcamo Diramazione, dato che alloggiava, con
la famiglia, nel vicino Baglio di Contrada Arcauso.
E
mentre il signor Vasile si avviava verso la Stazione, a cavallo della
propria giumenta, sentì il rumore delle bombe che cadevano più
avanti e della mitraglia, ma niente e nessuno sarebbe riuscito a
distoglierlo dall'andare a macinare il grano per poter poi farne il
pane per la famiglia. Soltanto che, arrivando nei pressi della
Stazione Ferroviaria, vide tanti carri sventrati con il loro
contenuto sparpagliato per terra, mentre gli aerei alleati se ne
erano andati, ed i carabinieri non erano ancora arrivati (ma lui di
tutto questo non ne sapeva nulla e nulla ne avrebbe mai saputo!) e
quindi non pote sapere di essere scampato alla fucilazione soltanto
per un breve lasso di tempo.
Comunque,
assieme ad altre persone a lui sconosciute — racconta sempre il
signor Vasile, — non penso più a macinare il grano (anche perché
gli addetti ai molini erano quasi tutti a raccogliere da terra quell'
insperato ben di Dio!) e riempi invece qualche suo sacco, di
zucchero, riso e scatolame vario affrettandosi a ritornare subito al
Baglio per sfamare le figlie e la moglie.
In
margine a questi luttuosi avvenimenti, altri tre ne accaddero quasi
contemporaneamente nelle vicinanze: ii primo fu un altro "miracolo"
che placò la fame di tante persone per almeno due giorni perché
prima del bombardamento, sempre nei pressi della Stazione una mandria
di vacche stava attraversando i binari per andare al ricovero quando
un treno — sopraggiunto improvvisamente — dovette frenare
violentemente per non investire la preziosa mandria, ma una vacca non
riusci a passare in tempo e quindi fu travolta dal convoglio
ferroviario.
Di
ciò se ne accorsero alcuni contadini che, considerando che se fosse
passato molto tempo, la carne dell'animale investito sarebbe andata a
male, pensarono bene di cominciare a squartare sul posto la carcassa
della povera bestia portandosene a casa quanto era possibile e senza
che nessuno, questa volta, li fucilasse.
C'erano
anche — nei pressi — diversi mezzadri del proprietario terriero
Pietro Lipari i quali se ne tagliarono addirittura un quarto lo
portarono al vicino baglio dove fu arrostito ben bene e di cui ne
mangiarono per due giorni, un po tutti i vicini.
L'altro
avvenimento invece fu un vero atto di guerra perché ad Alcamo in
contrada Sant' Anna era acquartierato il Corpo d'Armata dell'esercito
italiano ormai ridotto male e comandato da un colonnello di cui non e
stato tramandato il nome. Anche quei soldati erano allo stremo: fermi
da tanti giorni e senza ordini (qualcuno addirittura aveva disertato
e messosi in borghese era ritornato in famiglia) ma anche loro furono
mitragliati dagli stessi aerei americani che volevano liberare la
strada agli Alleati che da Gela e Licata, stavano convergendo verso
Palermo dove nel frattempo erano sbarcate altre truppe alleate.
Cosa
successe non si è mai saputo in tutta la sua interezza, perché
dagli ambienti militari certe notizie è difficile che trapelino, ma
anche in quella occasione ci furono altri morti, morti sacrificati
sull'altare di una guerra ormai finita! (L'elenco di quei morti è
stato già descritto nelle pagine precedenti).
Il
terzo episodio, altrettanto luttuoso ed anche senza senso, successe
qualche giorno dopo, esattamente il 20 luglio del 1943 (soltanto il
giorno prima che le truppe alleate entrassero ad Alcamo!) e a morire
sotto il fuoco degli aerei anglo-americani fu un giovane alcamese di
soli 14 anni, Salvatore Pirrone, nato ad Alcamo esattamente il
6/9/1929. Quel ragazzo era andato in campagna assieme alla madre, per
cercare di raccogliere verdure varie per la cena della famiglia (dato
che da mangiare c'era veramente poco!) quando, sulla strada del
ritorno, in contrada Santa Lucia, due aerei americani o inglesi —
non avendo null'altro da mitragliare — si esercitarono al tiro
contro quelle due inermi figure che arrancavano nella salita per
tornare al Paese.
Certamente
i piloti si accorsero che non potevano essere nemici, un ragazzino ed
una donna, ma per esercitarsi al tiro andavano bene. E così mori il
quattordicenne Salvatore Pirrone vittima incolpevole di una guerra
praticamente finita mentre la madre che era crollata a terra per il
grande spavento, scampo alla morte.
Vi
lasciamo immaginare le strazianti scene di dolore della madre quando
— rinvenendo — vide il figliolo riverso nel suo stesso sangue, le
sue inutili invocazioni, le lacrime, la sua solitudine nella campagna
e con le prime ombre della sera, che si addensavano in cielo, ed il
suo affannoso ritorno in paese per cercare aiuto.
Ma
Salvatore Pirrone non e stato ucciso da "incursione di aerei
nemici", come scritto sulla lapide al cimitero di Alcamo, in
ricordo del suo sacrificio, bensì da due aerei alleati
anglo-americani e che quindi non erano certamente nemici quanto
invece "amici" ed ecco dimostrato il proverbio che dice
"dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io".
Ritornando
al nostro racconto principale, quegli otto o dieci sfortunati
alcamesi, fucilati senza colpe, sono tuttora sepolti presso ii
cimitero di Alcamo e forse sarebbe ii caso di individuarli e
ritrovarli per tributare loro una lapide in ricordo di una vita persa
per una guerra gia finita.
Alcuni
anni fa, sindaco di Alcamo Massimo Ferrara, e stata da noi raccolta
tutta la documentazione sulle circostanze della morte del giovane
Pirrone, facendone richiesta di intestazione di una via cittadina che
poi il Consiglio Comunale approvò, ed oggi ad Alcamo c'è almeno una
via a ricordare it sacrificio di una morte assurda di un giovanissimo
ragazzo senza colpe.
Poi,
il 21 luglio — soltanto pochi giorni dopo — gli americani
entrarono ad Alcamo entusiasticamente accolti da tutto il popolo ma
anche dai tanti gerarchi fascisti, riciclatisi "genuini"
democratici, e furono proprio loro ad avere dagli stessi americani
l'incarico di gestire la nuova vita pubblica della Città, come —
per esempio - il dentista Mario Pecoraro, Podestà sotto il fascismo e
quindi Sindaco di Alcamo con gli americani, insomma il classico
individuo buono per tutte le stagioni.