sabato 22 giugno 2019

… E’ gelida l’acqua


“… E’ gelida l’acqua, mi entra nelle ossa, non riesco a liberare la stazza dall’acqua. Salto da un punto all’altro ma ogni tentativo è vano. Uso tutta la mia forza e la mia agilità ma la lancia resta piena. E cado.
All’improvviso e senza nemmeno rendermene conto. Ho paura. E’ notte fonda e fa freddo. L’incoscienza dei miei sedici anni mi ha portato a non calcolare il rischio. Non potevo e non dovevo cadere in mare. Mi sembra di morire.
Nella barca grande dormono e chi sta al timone sembra non essersi nemmeno accorto che sulla lancia attaccata dietro non c’è più nessuno. Ho paura. Siamo a 40 miglia da Lampedusa e se non riesco a farmi sentire subito, mi lasceranno qui e sarà la fine. Si renderanno conto di avermi perso quando saranno arrivati in porto. Non voglio morire qui. Sono terrorizzato.
Il panico sta per impadronirsi di me e comincio ad urlare con quanto fiato ho in gola cercando di rimanere a galla e di non farmi trascinare giù da questo mare che ci consente di sopravvivere, ma che può anche decidere di abbandonarci per sempre, di diventare un mostro crudele che non ha nessuna pietà. “Patri” urlo con angoscia che mi cresce dentro. “Patri” urlo ancora. Lui è al timone e non mi sente. La fine si avvicina, penso, ma continuo ad urlare. Poi qualcosa accade. Lui si volta e si accorge di me, dalle mie braccia alzate, dalla mia voce rotta dal pianto. E torna indietro a prendermi.
Urla ai marinai di svegliarsi. A bordo del KENNEDY cresce l’agitazione. Il mare è mosso e non è facile tirarmi su ma alla fine ci riescono. Sono salvo. Ho freddo. Sto male. Comincio a vomitare acqua salata. Piango come un bambino disperato. Mio padre mi stringe forte, mi riscalda come può. Torniamo a casa con la barca vuota per una battuta di pesce andata a male ma con una vita salvata. La mia.
Per giorni nella nostra umile casa di pescatori smetto di parlare. Io che zitto non sono mai stato. Io che fermo non sono mai stato, adesso non riesco a muovermi. E dalla mia bocca non esce nemmeno un suono. Per la prima volta nella mia vita ho capito cosa significa guardare la morte in faccia. Ciò che invece non potevo sapere è che non solo quella notte sarebbe rimasta per sempre impressa nella ma mente ma che la mia esistenza sarebbe per sempre rimasta segnata da un mare che restituisce corpi e vite e che sarebbe toccato proprio a me salvare quelle vite e toccare per ultimo quei corpi. Che ogni volta che in banchina avrei visitato un uomo, una donna, un bambino fradicio di acqua gelida e con gli occhi pieni di paura, avrei ripensato a quegli istanti.
Ogni tanto l’incubo di quella notte torna a farsi vivo ma, da oltre 25 anni, a quell’incubo, a quel terribile ricorso, se ne aggiungono altri, ancora più devastanti e purtroppo, temo altri se ne aggiungeranno.”
Domenico Bartolo

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